Quando sono partita mia figlia era già grande. Ci siamo trasferite quando aveva 15 anni, nel pieno del liceo. Questo aspetto dell’età era l’appunto di tutti quelli ai quali dicevo che tentavo fortuna all’estero, “ma dove vai, così sradichi tua figlia, non puoi cambiarla nel mezzo dell’adolescenza”; magari non si trattava dell’appunto all’inizio del discorso, ma sicuramente dell’affermazione finale.
Devo essere sincera: anche io, prima, avevo la convinzione che un figlio andasse “trapiantato” entro una certa data altrimenti non poteva esserci storia. Penso sempre a questo esempio. Quello del barattolo di marmellata, o la scatoletta del tonno. Un figlio non è da spostarsi entro il. Al compimento dei 10 / 12 anni al massimo.
E ciò perché: “I figli hanno i loro amici, i loro giri, e fino a che sono piccoli capiscono poco e sono più adattabili, poi da grandi capisci che storie fanno, e guarda che li traumatizzerai per sempre e ti toccherà pagargli lo psicologo e bla bla, e inoltre hai presente la storia di Tizio, e hai visto Caio, e poi conoscevo Sempronio, e pure per loro è stato un dramma”.
Non è così. Non è così perché, fino a che esisterà una storia diversa dalle altre, non si potrà dire che i figli sono sicuramente barattoli a scadenza oltre la quale non si può andare. Non è così perché vite ed esperienze non possono essere paragonabili tra loro. Non è così perché il fatto che si scelga di andare all’estero con figli piccoli non costituisce il giusto, ma solo la norma.
Conosco diverse persone che hanno traslocato con i figli adolescenti, senza che questi ultimi soffrissero di crisi di identità. Nel caso in cui questo accade, c’è da ricordare che i giovani imitano gli adulti e c’è da chiedersi chi siano i veri traumatizzati, se loro o noi!
Sono i genitori, a trasmettere ai figli amore e certezze, così come serenità e ansie. Diciamo che, per esempio, se mi metto a sbraitare per ogni minima cosa oppure agito le braccia come un mulino a vento colta dal panico per ogni imprevisto o problema, devo chiedermi:
Che tipo di adulto starò formando?
Allo stesso modo, se io genitore mi trovo ad affrontare un trasferimento, devo essere consapevole che dovrò supportare mio figlio in un processo di transizione che è a mio carico e che sarà inevitabilmente condizionato anche dal mio modo di affrontarlo.
Ci si può trovare a traslocare con un figlio in età da scuola superiore per ragioni di lavoro o per ragioni personali. Qualunque sia il motivo, la prima domanda che suggerisco di farsi non è “sarà troppo grande?” ma “sono disposto ad accompagnarlo nella nuova vita?”.
Il bambino non porterà più il pannolino e magari si sa anche fare il caffè da solo, ma un nuovo paese è un nuovo paese per tutti e ognuno vorrebbe per sé una coperta calda: figuriamoci un adolescente in piena tempesta ormonale. C’è poi una seconda domanda, che segue a ruota la prima e che è obbligo morale porsi:
Cosa stiamo lasciando?
Se non lasciamo niente, vale la pena tentare. Se viviamo una condizione tale da non essere più capaci di dare la giusta attenzione e il giusto affetto ai nostri figli, vale la pena tentare. Se i nostri figli non stanno bene e ce ne siamo accorti, vale la pena. Se c’è dialogo in famiglia, se abbiamo la prospettiva di un futuro migliore, vale la pena tentare.
Ecco, non è l’età di un figlio a fare la differenza, ma quello che stiamo lasciando e il modo in cui insieme affrontiamo il cambiamento. Ci sono ragazzi che viaggiano ogni due anni per seguire il lavoro dei genitori. Vivono altre dinamiche, altri meccanismi, ma questa è un’altra storia. La nostra storia di oggi è partire per la prima volta con un figlio già grande.
La sua trama è che si può fare, il suo finale è che è bene pianificare.
Perché un figlio già grande sa, vede e chiede, ma più di tutto continua ad imparare: da noi, dai nostri gesti e dall’esempio che gli diamo. Certo, non possiamo dimenticare che alcuni paesi sono più complicati da affrontare (pensiamo solo allo spostamento in zone di cui non conosciamo affatto la lingua) e che ognuno ha il suo carattere e il suo modo di reagire e interagire. Qualcuno la prenderà bene, qualcuno un po’ meno.
Qualcuno avrà bisogno di più tempo. Altri si getteranno subito nella nuova avventura come se non ci fosse un domani. A qualcuno mancheranno i nonni. A qualcun altro sembrerà di vivere un sogno. Comunque vada, in quel sogno accompagniamoli noi, i nostri ragazzi, tenendoli per mano. Anche se sono già grandi.