In Italia, come in altri Paesi europei che attraversano un periodo di difficoltà economica, si sente parlare spesso di “fuga dei cervelli” (o “fuga di talenti”, o ancora “brain drain”).
Con queste espressioni si intende l’emigrazione di persone altamente qualificate che, dopo essersi formate nel loro Paese natale (solitamente subito dopo la Laurea, triennale o specialistica), si trasferiscono e trovano impiego all’estero.
La “fuga dei cervelli” diventa così un serio problema con il quale lo Stato deve fare i conti, in quanto:
– Dopo aver investito fondi nell’istruzione e nella formazione il Paese non ha un ritorno in termini di produttività
– Perde forza-lavoro qualificata
– Perde potenziali contribuenti
Si calcola che gli italiani residenti all’estero nel 2012 siano circa 4.208.000 (se fossero una regione sarebbero l’ottave regione italiana per numero di abitanti!). E bisogna sottolineare che in questo conto non rientrano tutti gli italiani che si trovano all’estero per impieghi temporanei, stage, specializzazioni… gli statistici sostengono che tenendone conto la cifra potrebbe perfino raddoppiare!
Sul totale della popolazione italiana, dunque, circa un 7% è residente all’estero, di cui quasi la metà tra i 20 e i 40 anni di età.
Sono dunque moltissimi i giovani che si trasferiscono stabilmente oltre il confine, l’anno scorso circa 27.500 (15.500 uomini e 12.000 donne), perlopiù dalle regioni del nord-Italia (Lombardia e Veneto in testa, seguite da Sicilia, Lazio e Piemonte).
Dove vanno i giovani italiani all’estero?
Le tre mete preferite in Europa sono la Germania, la Gran Bretagna e la Svizzera.
Oltreoceano come sempre troviamo tra le mete preferite gli Stati Uniti, ma avanzano Argentina, Brasile, Cina e Australia.
Quali sono i motivi che spingono gli italiani ad emigrare?
Una recente indagine condotta dal Comune di Milano ha definito i motivi di uscita dal “Bel Paese”: l’assenza di meritocrazia in Italia e la possibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro prevalgono sull’appetibilità dei salari e sulla possibilità di stipulare contratti stabili. Tra i motivi citati anche l’età media della classe dirigente, decisamente troppo avanzata per poter affrontare le tematiche dei giovani d’oggi.
Preoccupante il dato che riguarda la percentuale di laureati sul totale dei residenti all’estero (nb: non del totale degli emigranti): se nel 2002 si assestava intorno al 9.7%, nel 2008 era salita al 16.7% e il trend continua a crescere in questa direzione.
Ma il vero problema forse non è questo.
La percentuale di laureati che lasciano ogni anno l’Italia non è superiore a quella di Paesi come Francia o Gran Bretagna. La sostanziale differenza è il nostro Paese non sembra avere le capacità di attirare “cervelli” dal resto del mondo.
I dati OCSE riferiscono infatti che l’Italia è l’unico dei maggiori Paesi europei ad avere più laureati che partono rispetto a quelli che arrivano.
Luca Cattaneo